Cibo e ricette in versione macrobiotica, forse. Perché la macrobiotica non è noiosa o cibo per pennuti...
venerdì, gennaio 27, 2006
Soba e pesto di edamame
Lo so oggi è da polenta e baccalà, ma me li farò stasera quando sarò riuscita ad attraversare la città sommersa da più di mezzo metro di neve.
Gli spaghetti di soba che vi propongo sono però un alimento molto riscaldante visto che è composta da grano saraceno tanto che i giapponesi la mngiano fredda anche in inverno. Unita alla soia degli edamame è un ottimo piatto da neve ;-) Qui la soba è purtroppo solo confezionata (la trovate nei negozi etnici o in quelli bio) ma in Giappone fare la soba è un'arte che prevede almeno tre anni di apprendistato.
Le dosi possono sembrare scarse ma la soba è un alimento che in cottura raddoppia ed è particolarmente saziante.
Gli edamame sono i fagioli della soia verde: ne ho talmente tanti nel frigo che ho dovuto provare un'alternativa alla cottura a vapore. L'unica scocciatura è doverli pulire visto che son belli chiusi nei loro bacelli.
180 gr di spaghetti di soba
150 gr di edamame sgranati
15 anacardi
1 cucchiaio di prezzemolo tritato
1 cucchiaio di porro tritato (parte verde)
3 cucchiai di olio di sesamo
2 cucchiai di salsa di soia
1/2 cucchiaino di pasta di wasabi
1 cucchiaio di lievito in scaglie
sale
Cuocete la soba in acqua bollente non salata, tirate fuori mezzo bicchiere di acqua di cottura poi scolatela e passatela sotto l'acqua fino a quando non sarà ben fredda. Mettete da parte.
In un frullatore mettete tutti gli altri ingredienti tranne l'olio di cui metterete un cucchiaio, frullate aggiungendo l'acqua poco a poco fino a ottenere un pesto morbido e non troppo liscio.
In un wok scaldate l'olio rimasto, aggiungete il pesto e infine la soba (se vi si ammassa aggiungete ancora un pochino di acqua ). Fate saltare per qualche minuto, decorate con qualche edamame intero e servite caldo.
giovedì, gennaio 26, 2006
Pain de campagne integrale
Fare il pane è uno dei momenti di relax maggiori per me.
Mi piace farlo la mattina della domenica quando c'è silenzio persino a Milano e tutti dormono beati compresa la maxi-gatta. Impastare a lungo è un modo per riflettere, per organizzare il pranzo o l'intera settimana...sapendo che difficilmente riuscirò a mantenere tutti i miei buoni propositi. Di recente riesco anche a leggere mentre impasto grazie a un fantastico sistema di pesi per fermare le pagine trovato alla Hoepli.
Questo pane è l'ennesima rielaborazione di una delle ricette di Linda Collistar ed è dedicato a Lilli, che è da qualche giorno proprietaria di un lievito figlio.
E' un pane lento che va avviato la sera precedente con il rinfresco della pasta madre; può essere fatto anche con la farina bianca, ma il profumo della farina integrale in cotura è la parte migliore del pomeriggio. Ci si possono anche aggiungere dei semi di cumino.
Se l'acqua è troppo calcarea vi consiglio di usare l'acqua in bottiglia o di filtrarla e soprattutto di non usarla fredda.
I forni casalinghi non raggiungono le alte temperature dei forni professionali ma si può ovviare in parte al problema acquistando una lastra di pietra refrattaria: questa può essere messa sul fondo del forno oppure si porre sopra il pane o la pizza. La cottura sarà più uniforme e l'effetto simile a quello del forno a legna.
200 gr di pasta madre
250 gr di farina integrale
100 gr di farina 0
50 gr di manitoba
35 gr di acqua filtrata
1 cucchiaino di malto d'orzo
1 cucchiaino di sale fino integrale
Sciogliere con le mani (o nell'impastatrice) la pasta madre e il malto nell'acqua, poi aggiungere piano piano la farina e il sale fino a ottenere un impasto morbido ed elastico. Lavoratelo e battetelo per almeno un quarto d'ora (più si impsta meglio è soprattutto con le farina integrali) , poi fate una palla e mettetela a lievitare in una ciotola leggermente unta, coperta da un panno bagnato e in un luogo tiepido e senza correnti d'aria (ideale il forno spento). La prima lievitazione può variare dalle tre alle sei ore a seconda del lievito madre. Il mio è spudorato e in meno di tre ore aveva fatto raddoppiare l'impasto ;-))
Ora rompete la lievitazione, reipastate velocemente e date una forma tondeggiante. Prendete un colapasta o un cestino, foderatelo con un telo di cotone ben infarinato, e ponete all'interno l'impasto. Infilate il colapasta in un sacchetto di plastica, gonfiatelo e chiudete (in alternativa copritelo con un panno bagnato). Lasciate lievitare sempre in un posto tiepido per almeno altre due o tre ore.
Portate il forno 230° lasciando all'interno una teglia o la pietra refrattaria. Togliete la teglia o la pietra calda dal forno e capovolgetevi sopra il pane su cui farete delle piccole incisioni con una lametta.
Cuocete per 10 minuti a 230° e poi 35/40 minuti a 200°. Battete sul fondo del pane, se suona vuoto è cotto. Fate raffreddare su una gratella.
martedì, gennaio 24, 2006
Torino, cioccolato e gironzolamenti
Lo ammetto amo Torino in modo quasi vergognoso e spesso, i non torinesi, mi dicon che son matta. Ne conosco i difetti e son tanti, ma son una piemontese spuria (complicato da spiegare), ci ho vissuto e studiato per cinque anni, parte della mia famiglia e alcuni cari amici stan qui, ora ho pure scoperto un ristorante da urlo...mi piace!
Se poi becchi una di quelle mattinate senza traffico, con il cielo blu e il sole che fa diventar dorati tutti i palazzi lungo il Po ti si apre letteralmente il cuore. Ci sono poi angoli straordinari dove si riesce anche a dimenticare le olimpiadi...
Amo di Torino i grandi viali, la collina, il verde (Milano se lo scorda), i colori e poi l'accento nasale dei veri torinesi, la loro discrezione (a volte sono un po' freddini, ma ci sono abituata) , l'eleganza, i ritmi più lenti...i caffè dove ci si siede (non i bar...), Paissa con i suoi legni scuri e l'odor di spezie e té, le panetterie con i rubatà e in particolare le botteghe del cioccolato. Qui esistono Venchi, Peirano, Gerla ma soprattutto Gobino. Negli anni li ho girati tutti perché nel mio amore per il cioccolato son poco macrobiotica se non per il fatto che non amo tutto ciò che è mischiato con latte o panna.
Laboratorio un po' gelidino nell'arredo, orari strampalati e conviene andarci di sabato mattina e non sotto Natale, ma l'odore è quello che può far svenire qualunque maniaco: cacao puro.
Guido Gobino ha ereditato laboratorio e mestiere dal padre per portarlo poi ai massimi livelli.
Una ricerca costate, curiosità e voglia di sperimentare hanno dato vita a quelli che secondo me sono veri capolavori:
i Tourinot, versione minima e perfetta dei gianduiotti in cui non compare il latte in polvere ma solo cioccolato fondente, zucchero e nocciole; gli Amarissimi, un blend di Cacao Ghana ed Ecuador arricchito con granella di Cacao Arriba; le Cialdine da degustazione, differenti percentuali e qualità di cacao.
Ci sono poi le sfoglie di cioccolato alte 50 cm, le creme, i gianduiotti classici, il cacao in polvere, le tavolette, i cioccolatini aromatizza.... dulcis in fundo, vino per acccompagnare e marmellate/ salse di Moreno Cedroni
Ecco cosa mi sono portata a casa....purtroppo non è tutto per me (quasi), ma la salsa di lampone e zenzero aspetta solo un tonnetto o un branzino crudo degno di questo nome ;-).
Se poi becchi una di quelle mattinate senza traffico, con il cielo blu e il sole che fa diventar dorati tutti i palazzi lungo il Po ti si apre letteralmente il cuore. Ci sono poi angoli straordinari dove si riesce anche a dimenticare le olimpiadi...
Amo di Torino i grandi viali, la collina, il verde (Milano se lo scorda), i colori e poi l'accento nasale dei veri torinesi, la loro discrezione (a volte sono un po' freddini, ma ci sono abituata) , l'eleganza, i ritmi più lenti...i caffè dove ci si siede (non i bar...), Paissa con i suoi legni scuri e l'odor di spezie e té, le panetterie con i rubatà e in particolare le botteghe del cioccolato. Qui esistono Venchi, Peirano, Gerla ma soprattutto Gobino. Negli anni li ho girati tutti perché nel mio amore per il cioccolato son poco macrobiotica se non per il fatto che non amo tutto ciò che è mischiato con latte o panna.
Laboratorio un po' gelidino nell'arredo, orari strampalati e conviene andarci di sabato mattina e non sotto Natale, ma l'odore è quello che può far svenire qualunque maniaco: cacao puro.
Guido Gobino ha ereditato laboratorio e mestiere dal padre per portarlo poi ai massimi livelli.
Una ricerca costate, curiosità e voglia di sperimentare hanno dato vita a quelli che secondo me sono veri capolavori:
i Tourinot, versione minima e perfetta dei gianduiotti in cui non compare il latte in polvere ma solo cioccolato fondente, zucchero e nocciole; gli Amarissimi, un blend di Cacao Ghana ed Ecuador arricchito con granella di Cacao Arriba; le Cialdine da degustazione, differenti percentuali e qualità di cacao.
Ci sono poi le sfoglie di cioccolato alte 50 cm, le creme, i gianduiotti classici, il cacao in polvere, le tavolette, i cioccolatini aromatizza.... dulcis in fundo, vino per acccompagnare e marmellate/ salse di Moreno Cedroni
Ecco cosa mi sono portata a casa....purtroppo non è tutto per me (quasi), ma la salsa di lampone e zenzero aspetta solo un tonnetto o un branzino crudo degno di questo nome ;-).
lunedì, gennaio 23, 2006
Una cena indimenticabile
Sono mesi che Sandra riempie il suo blog delle ricette e delle descrizioni delle sue cene al Birichin di Nicola Batavia.
Era d'obbligo provarlo! Finalmente siamo riusciti a organizzare una cena: la presenza di Lilli e Vittorio ha reso l'esperienza ancor più unica. Una serata che per me avrebbe potuto non avere fine tanto era piacevole chiacchierare con persone con cui condividi più di una passione e dalle quali puoi imparare così tanto.
Abbiamo iniziato con un aperitivo in un localino molto trendy torinese il RossoRubino dove un bicchiere di Syraz e una bottiglia di Nebbiolo hanno aperto mente e stomaco a un'ondata di chiacchiere. Per chi è della zona, qui fanno degustazioni interessanti...
Il Birichin si è dimostrato degno non solo del fanatismo di Sandra ma della stella Michelin fin dall'arrivo. Elegante, luci soffuse e caldo come di rado ormai si trova (almeno a Milano dove impera uno stile giap/nordico uniforme e raggelante), i tavoli sono grandi tanto da permettere di appoggiare piatti, pane e bevande senza assurdi equilibrismi e la cucina è a vista nella prima sala. Piccole attenzioni come i puf per far appoggiare le borse alle signore, sopportare due pazze furibonde che costringevano a portare i piatti alla luce per poterli fotografare ;-))
La cosa più carina...i tre uomini:
Nicola, lo chef stellato, disponibile, entusiasmante e molto paziente (non sa a cosa va incontro...mica ci fermeremo a una sola visita)
Massimo il maitre di sala.... si è mosso troppo!!! niente foto vedibili
Carmelo, il somellier...da notare il decanter "a teiera", per le spiegazioni chiedete a Vittorio ;-)
Ho mangiato come di rado mi è capitato. Fantasia senza eccentricità, struttura e ricerca percepibili, i sapori scoppiettavano in bocca uno dopo l'altro, equilibrio e cura in tutte le portate.
Ovviamente dopo aver consultato il menu ci siamo affidati a Nicola ed ecco qui il risultato.
Il cestino del pane e il chinotto...un capolavoro della mamma di Nicola e un ritorno all'infanzia: me lo davano da bambina invece della Coca-Cola
Calameretti spillo con crema di fagioli e tempura di bianchetto con crema di zucca
Non ho fatto in tempo a fotografarli...risucchiati alla velocità della luce
Capasanta con crema di patate, sale affumicato e crema di latte
Le capesante sono una cosa per impazzisco, questa aveva dimensioni che non avevo mai visto; il sapore avvolto dal dolce della crema di patate era bello tondo e morbido in bocca (la crema di latte non mi pareva determinante, ma tant'è, non mi sono mai piaciuti la crema di latte, la panna o la panna acida...) con il sorprendente croc del sale.
Calamaro speziato al masala farcito con merluzzo e patate cotto nel suo guazzetto con polentina bianca arrostita
Questo insieme ai paccheri e all'orata sono stati una folgorazione. So già cosa riassaggerò. Accostamento prefetto tra le spezie indiane, la tenuta dei calamari e la pastosità del ripieno; polentina bianca da tradizione e olio Pianogrillo.
Spaghetti di farro saltati con tonnetto e crema e foglie di cime di rapa
Uno spaghetto di farro non da falegname..raro anche i migliori sono sabbiosi. Perfetto il tonnetto e l'accostamento con una delle verdure che amo di più (tutti i cavoli mi piacciono, è vero)
Paccheri con nero di seppia e gamberi
Anche questo un capolavoro: di solito il nero di seppia non mi piace perchè spesso amaro. Qui era dolcissimo tanto che abbiamo chiesto un cucchiaio per raccogliere il sugo...
Trancetto di orata con fiori di zucchina e tocco di zenzero
Un unico commento: si scioglieva in bocca!
Una premessa sui dolci: spesso mi è capitato che i dolci non fossero all'altezza dello chef, cosa che mi ha fatto spesso riflettere sul fatto che "vero non si è bravi a far tutto" ma che i dolci in un ristorante di medio/alto livello dovrebbero essere men che meno perfetti se no ci si affida a un pasticciere. Stesso pensiero quando mi capitano solo mousse e simili: gli intolleranti ai latticini sono numerosi perché non proporre alternative? Beh con Nicola questi pensiero non li ho avuti.
I loro dolci
Semi freddo di latte e vaniglia con salsa di noci
Spuma di canella con arancia caramellata e miele di cappero
Semifreddo di liquerizia con salsa di amarena
I commenti a Lilli, Sandra e Vittorio: io ho assaggiato solo il miele di cappero...
I miei dolci...un pensiero di Nicola: niente latte!!!!
Ghiacciata di liquerizia con polvere e ristretto di vino cotto
Gateau di kiwi con polline di fiori
La liquerizia si amalgamava in modo unico con il vino cotto e il polline di fiori è un tocco da maestro.
Il finale perfetto:
Petit-fours e Selezione di cioccolato con birra trappista tripla fermentazione Achel
Esaltazione da maniaca della birra e soprattutto delle trappiste belghe (anche se sulle italiane crude e fresche ci lascio il cuore). Il prossimo giro eviterò il vino e mi concentrerò sulle birre ;-)
Chiacchiere con Nicola, buon té affumicato, caramelline digestive e chiusura con bottiglia da competizione di Brandy Millesimato Acquavite di Vino Trebbiano...poi qualcuno mi spiegherà perché il Birichin sulla Gambero Rosso non lo trovo però si piglia una meritatissima stella Michelin.
Ancora grazie all'organizzatrice e allo chef!
Per i commenti sul vino vi rimando a Vittorio, io so solo che in quattro abbiamo seccato più di una bottiglia a testa ;-) che la mattina dopo la testa frullasse ancora era il minimo ;-)
All'1.30 abbiamo liberato il ristorante e lo chef.
Cosa ho fatto il giorno dopo ve lo racconto domani....
Era d'obbligo provarlo! Finalmente siamo riusciti a organizzare una cena: la presenza di Lilli e Vittorio ha reso l'esperienza ancor più unica. Una serata che per me avrebbe potuto non avere fine tanto era piacevole chiacchierare con persone con cui condividi più di una passione e dalle quali puoi imparare così tanto.
Abbiamo iniziato con un aperitivo in un localino molto trendy torinese il RossoRubino dove un bicchiere di Syraz e una bottiglia di Nebbiolo hanno aperto mente e stomaco a un'ondata di chiacchiere. Per chi è della zona, qui fanno degustazioni interessanti...
Il Birichin si è dimostrato degno non solo del fanatismo di Sandra ma della stella Michelin fin dall'arrivo. Elegante, luci soffuse e caldo come di rado ormai si trova (almeno a Milano dove impera uno stile giap/nordico uniforme e raggelante), i tavoli sono grandi tanto da permettere di appoggiare piatti, pane e bevande senza assurdi equilibrismi e la cucina è a vista nella prima sala. Piccole attenzioni come i puf per far appoggiare le borse alle signore, sopportare due pazze furibonde che costringevano a portare i piatti alla luce per poterli fotografare ;-))
La cosa più carina...i tre uomini:
Nicola, lo chef stellato, disponibile, entusiasmante e molto paziente (non sa a cosa va incontro...mica ci fermeremo a una sola visita)
Massimo il maitre di sala.... si è mosso troppo!!! niente foto vedibili
Carmelo, il somellier...da notare il decanter "a teiera", per le spiegazioni chiedete a Vittorio ;-)
Ho mangiato come di rado mi è capitato. Fantasia senza eccentricità, struttura e ricerca percepibili, i sapori scoppiettavano in bocca uno dopo l'altro, equilibrio e cura in tutte le portate.
Ovviamente dopo aver consultato il menu ci siamo affidati a Nicola ed ecco qui il risultato.
Il cestino del pane e il chinotto...un capolavoro della mamma di Nicola e un ritorno all'infanzia: me lo davano da bambina invece della Coca-Cola
Calameretti spillo con crema di fagioli e tempura di bianchetto con crema di zucca
Non ho fatto in tempo a fotografarli...risucchiati alla velocità della luce
Capasanta con crema di patate, sale affumicato e crema di latte
Le capesante sono una cosa per impazzisco, questa aveva dimensioni che non avevo mai visto; il sapore avvolto dal dolce della crema di patate era bello tondo e morbido in bocca (la crema di latte non mi pareva determinante, ma tant'è, non mi sono mai piaciuti la crema di latte, la panna o la panna acida...) con il sorprendente croc del sale.
Calamaro speziato al masala farcito con merluzzo e patate cotto nel suo guazzetto con polentina bianca arrostita
Questo insieme ai paccheri e all'orata sono stati una folgorazione. So già cosa riassaggerò. Accostamento prefetto tra le spezie indiane, la tenuta dei calamari e la pastosità del ripieno; polentina bianca da tradizione e olio Pianogrillo.
Spaghetti di farro saltati con tonnetto e crema e foglie di cime di rapa
Uno spaghetto di farro non da falegname..raro anche i migliori sono sabbiosi. Perfetto il tonnetto e l'accostamento con una delle verdure che amo di più (tutti i cavoli mi piacciono, è vero)
Paccheri con nero di seppia e gamberi
Anche questo un capolavoro: di solito il nero di seppia non mi piace perchè spesso amaro. Qui era dolcissimo tanto che abbiamo chiesto un cucchiaio per raccogliere il sugo...
Trancetto di orata con fiori di zucchina e tocco di zenzero
Un unico commento: si scioglieva in bocca!
Una premessa sui dolci: spesso mi è capitato che i dolci non fossero all'altezza dello chef, cosa che mi ha fatto spesso riflettere sul fatto che "vero non si è bravi a far tutto" ma che i dolci in un ristorante di medio/alto livello dovrebbero essere men che meno perfetti se no ci si affida a un pasticciere. Stesso pensiero quando mi capitano solo mousse e simili: gli intolleranti ai latticini sono numerosi perché non proporre alternative? Beh con Nicola questi pensiero non li ho avuti.
I loro dolci
Semi freddo di latte e vaniglia con salsa di noci
Spuma di canella con arancia caramellata e miele di cappero
Semifreddo di liquerizia con salsa di amarena
I commenti a Lilli, Sandra e Vittorio: io ho assaggiato solo il miele di cappero...
I miei dolci...un pensiero di Nicola: niente latte!!!!
Ghiacciata di liquerizia con polvere e ristretto di vino cotto
Gateau di kiwi con polline di fiori
La liquerizia si amalgamava in modo unico con il vino cotto e il polline di fiori è un tocco da maestro.
Il finale perfetto:
Petit-fours e Selezione di cioccolato con birra trappista tripla fermentazione Achel
Esaltazione da maniaca della birra e soprattutto delle trappiste belghe (anche se sulle italiane crude e fresche ci lascio il cuore). Il prossimo giro eviterò il vino e mi concentrerò sulle birre ;-)
Chiacchiere con Nicola, buon té affumicato, caramelline digestive e chiusura con bottiglia da competizione di Brandy Millesimato Acquavite di Vino Trebbiano...poi qualcuno mi spiegherà perché il Birichin sulla Gambero Rosso non lo trovo però si piglia una meritatissima stella Michelin.
Ancora grazie all'organizzatrice e allo chef!
Per i commenti sul vino vi rimando a Vittorio, io so solo che in quattro abbiamo seccato più di una bottiglia a testa ;-) che la mattina dopo la testa frullasse ancora era il minimo ;-)
All'1.30 abbiamo liberato il ristorante e lo chef.
Cosa ho fatto il giorno dopo ve lo racconto domani....
venerdì, gennaio 20, 2006
Tartara di spada lime e lemon grass
Tra un paio d'ore partenza per Torino alla volta del Birichin, il mitico locale di Nicola Batavia (1 stella Michelin) tanto decantato da Tocco di zenzero. Mi si prospetta una serata con Sandra, Lilli e Vittorio..yuk!!!!!
Causa scomparsa del cavetto della digitale e girozolamenti più o meno lavorativi tra la città sabauda e Roma non avrete nessun resoconto prima di martedì...sigh!
Il pranzo di oggi è frutto della necessità di sbrinare il freezer, un filetto di pesce spada (lo detesto cotto) e un regalo di Natale: Fish&fish di D. De Montalier: libro che non mi ha particolarmente entusiasmata ma che ha qualche ricetta interessante.
Accompagnato da una zuppa di miso e da una tazza di bancha è stato il pranzo ideale in previsione di un fine settimana (e lunedì) di deliziosi impegni gastronomici.
200 gr di pesce spada
il succo di 1/2 lime
1 cucchiaino di lemon grass a pezzettini
2 cucchiai di olio di sesamo
1 cucchiaino scarso di salsa di soia
1 cucchiaio di semi di sesamo tostato
pepe bianco
Lo spada può essere congelato o, se fresco, messo nel congelatore per un'oretta in modo da affettarlo più facilmente. Tagliate lo spada a tocchetti di 5 mm.
A parte miscelate l'olio con il succo di lime, il lemon grass e la salsa di soia; condite lo spada e lasciate marinare per una ventina di minuti.
Servite cosparso di semi di sesamo tostato e con una macinata di pepe bianco.
Il lemon grass non è molto diffuso in Italia. Fresco lo si trova nei negozi etnici altrimenti potete ricorrere a quello essiccato o all'olio essenziale (1 goccia). E' una pianta aromatica molto diffusa nel SudEst asiatico dove si usa nelle zuppe, per aromatizzare la carne, il pesce o le bevande.
giovedì, gennaio 19, 2006
Zuppa di calamaretti e pomodori secchi
Oggi mi tocca stare chiusa in casa causa colpo di freddo a un occhio e somiglianza stretta con Martin Feldman (e non per la gobba)...una delle cause può essere stata anche l'aver sostato una mezz'ora dal pescivendolo di fronte a casa prima di decidermi a comprare solo dei ciuffetti di calamaro e un polpo. Ieri sera ci si aggirava sullo 0 e io allegra a rompere le scatole a quel pover'uomo. Oggi quindi mi consolo con questa zuppa calda tanto più che i ciuffetti di calamaro sono già puliti e velocissimi da cuocere.
Inoltre questo mi consente di consumare una parte dei chili di pomodori secchi sott'olio e salsa di pomodori che ho prodotto alla fine di quest'estate.
Pomodori freschi manco uno...il discorso stagionalità l'ho fatto ormai anche troppe volte ;-)) Si possono usare anche i pelati.
1 scalogno
1 costola di sedano
1 carota
200 gr di ciuffetti di calamaro
200 gr di salsa di pomodoro
5 pomodori secchi
1 pizzico di cannella
pane raffermo
3 cucchiai d'olio extravergine fruttato sardo
Sciacquare i calamaretti, togliere le eventuali parti dure e asciugarli bene. In una pentola soffriggere lo scalogno, il sedano e la carota tritati con un cucchiaio d'olio e un cucchiaio d'acqua. Una volta divenuti trasparenti, versare i calamaretti e sfumare con il vino. A questo punto aggiungere la salsa di pomodoro e i pomodori secchi tagliati a pezzettini. Far cuocere per una ventina di minuti fino a quando i calamaretti non saranno divenuti morbidi. In una padella scaldare il restante olio con un pizzico di cannella e poi versare sulla zuppa prima di servire. Il profumo dell'olio così si accentua. Pane raffermo e passato in forno come accompagnamento (non ci metterei aglio per non disturbare il resto dei sapori).
martedì, gennaio 17, 2006
Pici risottati con zafferano broccoli e salmone
Sono stata folgorata dalla pasta risottata una decina di anni fa credo grazie alla Cucina Italiana o a Sale e Pepe. L'idea mi è piaciuta, ho iniziato con le penne per finire con la pasta lunga. Leggere il libro di Allan Bay mi ha fatto sorridere (non è una sua invenzione...come molti credono, ma manco lui l'ha mai detto) e mi ha fornito nuovi spunti. Mi rifiuto di farla nel Bimby ;-)
Io la cuocio nel wok visto che è l'unica pentola grande a mia disposizione almeno fino a quando non riuscirò ad andare da Medagliani.
I pici sono gli spaghetti toscani, fatti di acqua e farina (alcuni ci aggiungono le uova, sigh) e tirati a mano, sono lunghissimi, cicciotti e sono la salvezza dei vegetariani nelle osterie "da chianina".
L'accostamento con il salmone farà orrore ed è opinabile, ma io sto ancora facendo fuori le scorte natalizie (il salmone è marinato solo con sale e zucchero senza erbe e non affumicato).
per due persone
200 gr di cimette di broccolo
4 cucchiai d'olio extravergine toscano
1/2 bicchiere di vino bianco
1 scalogno
2 spicchi d'aglio
80 grammi di salmone
250 gr di pici
1/2 litro di brodo vegetale
4/5 stimmi di zafferano
La pasta lunga o lunghissima come nel caso dei pici, per non doverla spezzare, la cuocio per 3 minuti nell'acqua bollente in modo che si pieghi. La pasta così ci mette di più a cuocere e i pici non sono facili da manovrare, ma il tutto risulta molto più saporito di una normale pasta spadellata con il sugo.
Tritate scalogno e aglio e fate soffriggere in una larga padella con l'olio, aggiungete le cimette di broccolo, fate saltare per qualche minuto. In un paio di cucchiai di brodo caldo mettete gli stimmi di zafferano e mettete da parte.
Scolate la pasta e versatela nella padella. Fate insaporire per qualche minuto poi sfumate con il vino. Continute a cuocere come per un risotto, aggiungendo man mano il brodo vegetale caldo. Il sugo diventerà una cremina densa.
Prima che i pici siano cotti controllate il sale, aggiungete lo zafferano e fuori dal fuoco il salmone tagliato a listarelle. Servite ben caldi.
lunedì, gennaio 16, 2006
La quasi tradizione: pasta e fagioli
Un fine settimana di freddo barbino, tanto che uscire di casa non è stato nemmeno preso in considerazione, così mi sono potuta finire l'ultimo Harry Potter in pace (bello...ultimi capitoli da divorare come da copione ;-))
Cucina poca (ero impegnata a divanizzarmi), ma molto invernale: una pasta e fagioli con digressione macrobiotica. A me piacciono gli spaghetti nelle minestre, ma c'è chi preferisce la pasta corta...va a gusti. Il resto è un connubio di elementi riscaldanti e disintossicanti.
300 gr di fagioli borlotti secchi
1 cm di alga kombu
1 foglio di alga nori
2/3 alghe dulse
1 carota
1 cipolla
1 costola di sedano
2 spicchi d'aglio
1 peperoncino o pepe di caienna (opzionale)
3 cucchiai d'olio extravergine toscano
100 gr di spaghetti integrali
Mettete a bagno i fagioli per una notte insieme all'alga kombu.
Tritate la cipolla, la carota e il sedano e soffriggeteli, in una pentola di coccio, in un cucchiaio d'olio, aggiungete i fagioli e l'alga scolati e acqua fredda fino a coprire. Fate cuocere fino a quando i fagioli non saranno morbidi. Frullatene una parte e rimettetela nella pentola.
A parte tostate l'alga nori sulla fiamma del gas per pochi secondi e tritatela finemente insieme alla dulse. Unite questo trito ai fagioli e poi aggiungete gli spaghetti spezzettati.
In una padellina verste due cucchiai di olio, aggiungete l'aglio schiacciato ma con la buccia e fate scaldare per qualche minuto. Togliete l'aglio, il peperoncino e aggiungete alla zuppa. Mescolate, aggiustate di sale (non dovrebbe essre necessario) e servite ben calda.
Macroconsiglio
L'olio in inverno andrebbe consumato il meno possibile a crudo. Questo perchè tende a raffreddare il corpo e ad affaticare il fegato, scaldarlo leggermente è un ottimo sistema per aumentare la sua energia yang e far sì che l'intero piatto diventi una vera fonte di calore.
giovedì, gennaio 12, 2006
Pasta porri e ceci
Vero che non sono l'unica a passar periodi di furibondo amore per un cibo in particolare?
Non ho mai amato la pasta in modo particolare, ho sempre preferito il riso (forse l'esser cresciuta tra le risaie aiuta), ma nelle ultime settimane la pasta mi fa impazzire. Sarà il freddo...
Vero che ho in casa pacchi di Faella, Setaro, Garofalo e una non meglio precisata schiera di paste integrali...regali di Natale ;-)
Mi piace poi abbinare i legumi ai cereali senza farli andare sempre in minestra.
Il gusto di questo piatto è molto dolce, adatto a stomaci e pancreas in crisi da abbufate natalizie; potete poi omettere l'olio e limitarvi al tahin e a stufare i porri in due cucchiai di acqua in modo da limitare i grassi.
250 gr di pasta corta
1 porro grande
100 gr di ceci cotti
1 cucchiaio di olio extra vergine delicato (garda o ligure)
1 cucchiaio di tahin
100 gr di ceci
pepe di sichuan
chiodo di garofano
sale
acqua qb
Togliete le foglie esterne al poro e affettatelo sottile compresa tutta la parte verde. Fate scaldare l'olio, aggiugete il porro e fate saltare a fuoco vivo per qualche minuto, poi salate, coprite a filo con acqua e fate cuocere per una decina di minuti. Aggiungete i ceci già cotti, la tahina sciolta in un pochino di acqua e fate insaporire.
A parte cuocete la pasta (le mie erano penne della Setaro), scolate molto al dente e versate nella padella del sugo dove finirete la cottura. Nel macinino infilate il chiodo di garofano e macinate pepe e chiodo di garofano sulla pasta prima di servire. Sarà una mania ma se cuocio il pepe mi pare di perderne l'aroma soprattutto con il pepe di sechuan o il pepe rosa.
mercoledì, gennaio 11, 2006
I cavoletti di Ruth
Mangiar strano, come dice la mia mamma, non vuol dire non esser curiosi di tutti i generi di cucine (ho passato tanti anni formaggiosi prima di redimermi ;-)) anzi la cucina strettamente macrobiotica a volte è proprio noiosa e quindi le ispirazioni vanno colte ovunque.
Ruth Reichl è non solo la direttrice di Gourmet Magazine, rivista americana su cui investo parte del mio stipendio, ma critico gastronomico eccelso e scrittrice divertente.
Folgorata da La parte più tenera letto in volo per il Messico, deliziata da Confortatemi con le mele, ho divorato a Natale Aglio e zaffiri, ultimo capitolo della sua vita come critico gastronomico.
Sono libri lievi ma molto interessanti soprattutto per chiunque consideri la cucina americana ben lontana dai livelli europei...per quanto riguarda la cucina vegana e macrobiotica è vero il contrario, siamo noi a esser lontani almeno una decina di anni :-(
Se poi ci si aggiunge che i cavoletti di bruxelles sono non solo il simbolo di una cara amica, ma l'ortaggio che più mi manca in estate e che potrei mangiarli anche tutti i i giorni (i vicini mi inviterebbero a trovare un altro appartamento).
E' una ricetta di una semplicità estrema, all'originale ho aggiunto solo l'aceto balsamico.
300 gr di cavoletti di bruxelles
4/5 cucchiai di olio extravergine
1 cucchiaino di aceto balsamico extra aged
pepe
sale
Accedete il forno a 200°. Pulite i cavoletti e a parte miscelate olio, aceto, sale e pepe. Scegliete una pirofila abbastanza grande da far stare i cavoletti in un solo strato, irrorateli con il condimento e mescolate bene in modo che ne siano impregnati. In questa ricetta si possono usare anche oli dal gusto più pesante come i pugliesi o i toscani (ho ancora 3 litri dell'olio di CorteVecchia ;-)) visto che coprire il gusto spiccato dei cavoli non è semplice.
Fate cuocere per una ventina di minuti. Saranno pronti quando le foglie esterne saranno bruciacchiate e l'interno sarà morbido. I cavoletti così sono dolcissimi e vanno mangiati ben caldi.
lunedì, gennaio 09, 2006
Okara strapazzata alle verdure
Giorni di pigrizia gioiosa...quando ti accorgi che in 72 ore non ti sei alzata dal divano se non per riempire la teiera, finire il più bel libro letto da sei mesi in qua (Ian McEwan - Sabato - Einaudi) e per andare a cena con un amico speciale che tra poco tornerà in Australia (e sigh non vedrai per almeno un anno).
Ho dovuto alzarmi per cucinare (poco)...per chi nel fine settimana si fosse cimentato nel far il tofu in casa e non avesse pensato bene di buttare via (!!!) la purea di fagioli di soia, ecco una ricetta veloce da fare con l'okara.
Va tenuto presente che sebben in purea si tratta di fagiol di soia pressoché crudi e che quindi vanno cotti per almeno una ventina di minuti altrimenti risulteranno duri e indigesti. L'okara ha tutti i vantaggi della soia e questa ricetta (come il tofu) si presta benissimo alle diete del dopo-natale vista la scarsa presenza di grassi.
2 carote
1 porro
1 manciata di spinaci o erbette (anche congelate o avanzate)
200 gr di okara
3 cucchiai di olio di sesamo
acqua qb
sale
pepe
zafferano (opzionale)
Tagliate le carote a julienne e il porro a fettine sottili. In un wok fate scaldare un cucchiaio di olio e poi fate saltare le carote, il porro e gli spinaci per 5 minuti in modo che le verdure rimangano croccanti. Togliete dalla pentola e mettete da parte. Nello stesso wok aggiungete due cucchiai di olio e quando sarà caldo l'okara. Fatela cuocere per 15 minuti aggiungendo un pochino di acqua se risultasse troppo asciutta. In due cucchiai di acqua calda fate rinvenire gli stimmi di zafferano. Aggiungete all'okara lo zafferano, le verdure e fate saltare per qualche minuto. Salate e pepate. Servite ben caldo con del riso basmati integrale bollito...ottimo piatto anche per un lunch o una colazione tardiva visto l'impressionante aspetto da uova strapazzate (il sapore no ;-)).
giovedì, gennaio 05, 2006
Edamame
A volte ci si innamora di un'immagine: questa è la mia foto migliore ;-)
Per proseguire sull'argomento soia e per riposare apparato digerente&Co in previsione del pranzo della Befana gli edamame sono perfetti.
Sono i baccelli della soia verde, hanno tutti i vantaggi di questo magico legume ma soprattutto si possono mangiare al naturale senza perdersi in ricette complicate, cosa però non vietata (ve ne proporrò qualcuna). Sono uno snack perfetto....a patto di riuscire a smettere prima di ingurgitarne mezzo chilo ;-)
Negli Stati Uniti e in Inghilterra si trovano freschi e di differenti qualità come, per altro, i funghi shitake, purtroppo in Italia non ci sono ancora coltivazioni e ci si deve adattare al surgelato e non sono facili da trovare.
A Milano stanno diventando di moda e questo mi fa ben sperare in una loro diffusione e diminuzione di prezzo. Un consiglio è quello di comprare solo i prodotti provenienti dal Giappone che di solito assicurano che la soia non sia transgenica; questo perché si trovano anche edamame di provenienza cinese che costano meno, ma non sono ogm free.
Qui si trovano da Kathai (via Rosmini 12) nel reparto surgelati...anzi grazie Stefi! altrove provate nei negozi di alimenti etnici e giapponesi oppure online.
Ricetta che più semplice non si può:
500 gr di edamame surgelati
acqua
1 cucchiaio di sale grosso integrale
1 presa di sale rosa himalayano
Mettete sul fuoco una grossa pentola di acqua (mai sale con i legumi), al bollore versate gli edamame surgelati, aspettate che riprenda a bollire e calcolate 5/8 minuti.
A parte mischiate i due sali.
Scolate bene i baccelli e serviteli tiepidi cosparsi di sale. Ovviamente non dovete mangiare i baccelli, ma i fagioli che sono all'interno. Il sale che sarà sul baccello, si mescolerà con il fagiolo una volta in bocca...il sapore è stupefacente. Io li ho accostati a una serie di vini trentini bianchi e rossi (Muller Turghau e Marzemino Terrazze della Luna)....ma lo faccio per disposizione genetica.
martedì, gennaio 03, 2006
Fatto in casa: il tofu
L'avevo promesso in più di un post e così ieri per una volta mi sono messa a fare il tofu con la luce del giorno e con la digitale portata di mano.
Il tofu è noto per essere un cibo insapore e privo di una sua personalità, vero per quello che si compra nei supermercati. Fare in casa il tofu è un'occasione per scoprirne il sapore, delicato ma incisivo tanto che vale la pena di gustarlo al naturale.
Il sapore diminuisce gradatamente e dopo tre/cinque giorni avrà acquisito il non-sapore tipico del tofu da supermercato. Non è un caso che nei supermercati giapponesi esistano appositi banchi dove viene venduto il tofu fresco.
Fare in casa il tofu non è per nulla difficile sempre a patto di avere un paio d'ore a disposizione; inoltre è molto economico: il costo della soia gialla e del nigari, con meno di tre euro si possono ottenere circa 3 etti e mezo di tofu.
Si possono fare tipi differenti di tofu più o meno morbidi e insaporirli con erbe o spezie. Difficile è invece fare il silk tofu, una qualità di tofu morbidissima che si usa soprattutto per salse e dolci..meglio comprarlo ;-)
Prima di iniziare dovete procurarvi:
1 colino grande o un canestrello per la ricotta: si trovano nei negozi di casalighi ben forniti o nelle ferramenta (io devo ringraziare Carla di Cucina Italiana per avermi regalato un intero set per fare i formaggi). Vanno bene sia di plastica sia di metallo, quadrati, rettangolari o tondi non ha importanza.
soia gialla: secca, si trova nei supermercati bio o nei supermercati ben forniti...deve esere quella gialla, con quella verde ci si fanno le minestre ;-)
nigari: determinante, si trova nei supermercati bio o di alimenti giap. Si tratta di caglio giapponese a base di cloruro di magnesio, insapore, inodore e soprattutto vegan (non è fatto con stomaci di vitello o roba chimica). Non è economicissimo ma con una busta potete fare circa tre chili di tofu.
1 telo di garza di cotone o di etamine: si trova nelle mercerie e serve per filtrare il tofu.
una pentola grande e un frullatore
Dosi:
500 gr di soia gialla
5 litri di acqua
1 cucchiaio di nigari
Il rapporto deve essere 10 a 1 quindi 500 gr di soia/5 litri di acqua in cui va compresa quella dell'ammollo.
La sera prima mettte a bagno la soia in un litro di acqua fredda con un pezzetto di kombu. Il tempo di ammollo può variare dalle 8 alle 12 ore a seconda dell'età della soia. E' pronta uando aprendo un fagiolo in due l'interno sarà giallo iniforme senza zone più scure.
Frullate la soia fino a ridurla in purè aiutandovi con un pochino dell'acqua totale.
Mettete sul fuoco una pentola grande con i 4 litri di acqua e quando comincia a sobbollire versatevi la purea di soia. Fate sobbollire (occhio che tende a straripare...) per qualche minuto.
Filtrare il liquido ottenuto e rimettete sul fuoco questo latte e fate bollire per altri 10 minuti.
La parte solida non buttatela, si chiama okara e può essere mangiata in diversi modi (nei prossimi gorni ci saranno ricette a questo proposito)
Fate raffreddare il latte fino a quando non avrà raggiunto gli 80° (termometro o occhio clinico: quando non fuma più...).
A parte sciogliete un cucchiaio clmo di nigari in una tazza di acqua tiepida.
Il caglio va versato nel latte in tre volte, mescolando mentre versate e poi fermando il liquido e facendo riposare per una decina di secondi.
Al termine vedrete che il latte comincia a cagliarsi.
A questo punto dovete solo dividere la pare solida dal siero. Ricoprite un colino con la la garza e versate la cagliata. Al termine ricoprite un'altra garza o con i lembi della stessa, ponete sopra un peso (un sacchetto di riso ve benissimo) e lasciate riposare così per almeno trenta minuti. Il siero fuoriuscirà lentamente e rimarrà solo il tofu.
Togliete il tofu dal colino/canestrello con attenzione e mettetelo in una bacinella piena di acqua fredda per altri 15 minuti.
A questo punto il tofu è pronto.
Si conserva per una decina di giorni immerso in acqua.
Raccomandazioni:
le dosi...il tofu non viene se si va ad occhio, vanno rispettate le dosi
tentativi..almeno un paio prima di avere un tofu perfetto, ma già al primo si mangia qualcosa di unico
nigari..alcuni lo sostituiscono con limone..provato..non è la stessa cosa.
lezione: se volete al prossimo raduno lo preparo in diretta, si impara più velocemente se lo si vede fare ;-))
Ricetta per il tofu "primo giorno":
Al naturale con una salsa fatta in parti uguali di soia, aceto di riso e olio di sesamo.
Il tofu è noto per essere un cibo insapore e privo di una sua personalità, vero per quello che si compra nei supermercati. Fare in casa il tofu è un'occasione per scoprirne il sapore, delicato ma incisivo tanto che vale la pena di gustarlo al naturale.
Il sapore diminuisce gradatamente e dopo tre/cinque giorni avrà acquisito il non-sapore tipico del tofu da supermercato. Non è un caso che nei supermercati giapponesi esistano appositi banchi dove viene venduto il tofu fresco.
Fare in casa il tofu non è per nulla difficile sempre a patto di avere un paio d'ore a disposizione; inoltre è molto economico: il costo della soia gialla e del nigari, con meno di tre euro si possono ottenere circa 3 etti e mezo di tofu.
Si possono fare tipi differenti di tofu più o meno morbidi e insaporirli con erbe o spezie. Difficile è invece fare il silk tofu, una qualità di tofu morbidissima che si usa soprattutto per salse e dolci..meglio comprarlo ;-)
Prima di iniziare dovete procurarvi:
1 colino grande o un canestrello per la ricotta: si trovano nei negozi di casalighi ben forniti o nelle ferramenta (io devo ringraziare Carla di Cucina Italiana per avermi regalato un intero set per fare i formaggi). Vanno bene sia di plastica sia di metallo, quadrati, rettangolari o tondi non ha importanza.
soia gialla: secca, si trova nei supermercati bio o nei supermercati ben forniti...deve esere quella gialla, con quella verde ci si fanno le minestre ;-)
nigari: determinante, si trova nei supermercati bio o di alimenti giap. Si tratta di caglio giapponese a base di cloruro di magnesio, insapore, inodore e soprattutto vegan (non è fatto con stomaci di vitello o roba chimica). Non è economicissimo ma con una busta potete fare circa tre chili di tofu.
1 telo di garza di cotone o di etamine: si trova nelle mercerie e serve per filtrare il tofu.
una pentola grande e un frullatore
Dosi:
500 gr di soia gialla
5 litri di acqua
1 cucchiaio di nigari
Il rapporto deve essere 10 a 1 quindi 500 gr di soia/5 litri di acqua in cui va compresa quella dell'ammollo.
La sera prima mettte a bagno la soia in un litro di acqua fredda con un pezzetto di kombu. Il tempo di ammollo può variare dalle 8 alle 12 ore a seconda dell'età della soia. E' pronta uando aprendo un fagiolo in due l'interno sarà giallo iniforme senza zone più scure.
Frullate la soia fino a ridurla in purè aiutandovi con un pochino dell'acqua totale.
Mettete sul fuoco una pentola grande con i 4 litri di acqua e quando comincia a sobbollire versatevi la purea di soia. Fate sobbollire (occhio che tende a straripare...) per qualche minuto.
Filtrare il liquido ottenuto e rimettete sul fuoco questo latte e fate bollire per altri 10 minuti.
La parte solida non buttatela, si chiama okara e può essere mangiata in diversi modi (nei prossimi gorni ci saranno ricette a questo proposito)
Fate raffreddare il latte fino a quando non avrà raggiunto gli 80° (termometro o occhio clinico: quando non fuma più...).
A parte sciogliete un cucchiaio clmo di nigari in una tazza di acqua tiepida.
Il caglio va versato nel latte in tre volte, mescolando mentre versate e poi fermando il liquido e facendo riposare per una decina di secondi.
Al termine vedrete che il latte comincia a cagliarsi.
A questo punto dovete solo dividere la pare solida dal siero. Ricoprite un colino con la la garza e versate la cagliata. Al termine ricoprite un'altra garza o con i lembi della stessa, ponete sopra un peso (un sacchetto di riso ve benissimo) e lasciate riposare così per almeno trenta minuti. Il siero fuoriuscirà lentamente e rimarrà solo il tofu.
Togliete il tofu dal colino/canestrello con attenzione e mettetelo in una bacinella piena di acqua fredda per altri 15 minuti.
A questo punto il tofu è pronto.
Si conserva per una decina di giorni immerso in acqua.
Raccomandazioni:
le dosi...il tofu non viene se si va ad occhio, vanno rispettate le dosi
tentativi..almeno un paio prima di avere un tofu perfetto, ma già al primo si mangia qualcosa di unico
nigari..alcuni lo sostituiscono con limone..provato..non è la stessa cosa.
lezione: se volete al prossimo raduno lo preparo in diretta, si impara più velocemente se lo si vede fare ;-))
Ricetta per il tofu "primo giorno":
Al naturale con una salsa fatta in parti uguali di soia, aceto di riso e olio di sesamo.
domenica, gennaio 01, 2006
La colazione del 1 giorno
Il Capodanno non è stato in compagnia di Jane Austen ma tranquillo, felice e circondata da persone eccezionali. Parte della serata è passata a chiacchiarere e rispondere agli sms di amici e amici-blogger...a proposito: grazie!
Mi è toccato cucinare, ovviamente molto macro e poco tradizionale....i piatti ve li beccherete per un po', per ora la colazione di stamattina: bagel, trota gravlax, Mozart, the des sherpas (darjeling verde) dono di una persona speciale e gatta di 8 chili spaparanzata sulle mie gambe. Un inizio perfetto.
Per la trota gravlax o simil svedese: stessa ricetta del salmone solo con la trota salmonata. Un esperimento riuscito e di salvezza per chi ha mariti, fratelli amici pescatori che ti riempiono il freezer di trote.
I bagel sono nati nel 1683 come omaggio di un panettiere al re di Polonia per aver contribuito a salvare Vienna dall'invasione ottomana. La leggenda dice che il panettiere volle dargli al forma di una staffa (bugel in tedesco) per celebrare l'abilità del re come cavaliere.
Di fattura molto semplice, sono stati portati negli USA dagli immigrati polacchi e sono stati adottati e trasformati in qualcosa di più pesante visto che spesso vengono infarciti di uova e burro. Assaggiato in tutti i modi, per me l'originale è il migliore e la ricetta viene diretta da New York e da un negozio che si chiama "All on the bagel".
Come tutto il pane ne va limitato il consumo perché troppo yang per la cottura e se in eccesso causa di rigidità muscolare e problemi al fegato e alla pelle...ma se se ne mangia uno (vabbè due) al primo dell'anno ;-))
Io li ho fatti piccolini e non mi è venuto perfetto il buco centrale...ma il sapore era da "colazione sulla Terza in una mattina di giugno" e fuori era Milano a -3°. Il malto questa volta è indispensabile e al massimo potete sostituirlo con la melassa (che però non è macrobiotica ;-))
per 8 bagel piccoli o 4 medi
2 tazza di farina (manitoba, 0 e integrale)
1 tazza di acqua
2 cucchiai di olio di mais o oliva leggero
1 cucchiaino di sale
15 gr di lievito di birra fresco o 5 gr di lievito secco
2 cucchiai di malto d'orzo
semi di papavero o di sesamo
1 cucchiaio di latte di soia
Miscelate acqua, lievito, olio e un cucchiaino di malto. Aggiungete a cucchiaiate la farina fino a ottenere un impasto molto morbido, elastico ma non appiccicoso. Impastate bene per una decina di minuti poi mettere la pasta a lievitare in una ciotola unta e coperta per un'ora. Reimpastate e formate 8 palline e fate un buco al centro con il pollice. Lasciate riposare per dieci minuti. Nel frattempo in una pentola scaldate dell'acqua con il resto del malto. L'acqua deve solo sobbollire. Con delicatezza mettete ciascuna pallina nell'acqua e toglietele qualdo vengono a galla. Fatele asciugare leggermente su una teglia ricoperta di carta forno, poi spennellate i bagel con il latte di soia e cospargeteli con i semi. Cuoceteli in forno caldo a 180° fino a quando non saranno dorati.
Determinante è la doppia cottura e il fatto che l'acqua venga addizionata con il malto d'orzo che dà un sapore dolce ma amarognolo alla superficie.
Vanno mangiati tiepidi o riscaldati. Si possono conservare congelati per un mese. Ottimi con il salmone, ma anche con la marmellata.